Saggio di fine anno – Alessandro Bozzi

SAGGIO di FINE ANNO

Il saggio di fine anno è sempre una grande IMPRESA sia per chi lo pianifica, organizza e gestisce, sia per chi si prepara e vi partecipa sia per chi lo “subisce” venendo a sostenere figli/e “in preda la panico”, amici/che “divorati dall’isteria”… insomma in queste serate è l’emozione che la fa da padrona… e come potrebbe essere altrimenti!
E’ la giusta conclusione di un percorso di studio, e per molti diventa una tappa…
Quello che mi ha sempre stupito è che nella pratica dell’insegnamento (nel mio caso di tecnica vocale) puoi dare tutte le coordinate giuste, le “dritte” più mirate e svelare tutti i trucchi del mestiere ma quando arriva il “PALCO” è lui che ti ruba il lavoro di un anno fregandosene di tutto e di tutti… ti spoglia e t’inghiotte in quella che forse è l’unica musica che sempre vorresti sentire e vivere… quindi come non essere quel minimo emozionati e “confusi”.
In tanti anni di saggi ho scoperto che questo mio mestiere è roba da privilegiati… ho in mente (e non di meno nel cuore) ogni singolo sguardo “regalatomi” sia prima dell’esibizione che dopo… è un partire ed arrivare che dura poco più si un soffio ma vale quanto un giro del mondo e quando si scende e si ri-atterra tra i “vivi”… è andata ce l’abbiamo fatta… la paura di fare la “cazzata” si trasforma magicamente nel dispiacere di non averla fatta più “grossa”… e siamo già pronti al prossimo giro…

Ringrazio sempre tutti per questa ondata di energia che per due lunghi giorni echeggia sovrana e che indubbiamente fa della nostra associazione un catalizzatore di “batticuori” così forte da aver creato nel tempo collaborazioni, amicizie e una sana voglia di condivisione.

Riporto qui di seguito quello che qualche anno fa un mio allievo scrisse sul suo blog proprio in riferimento al saggio sostenuto:

“…Come ogni anno, il momento del saggio di canto è una fase toccante. Si realizza all’improvviso che siamo nuovamente a Giugno, che un altro anno è volato via e ci si deve nuovamente fermare per tirare qualche conto. Soprattutto per fare mente locale su ciò che si deve fare per evitare brutte figure.

Alle prove generali incontri facce conosciute, sorridenti e un po’ nervose per il nuovo test al proprio coraggio, e facce spaurite e bianche di chi si sta rendendo conto di aver fatto una cazzata: sono quelli del primo anno. Le prove generali, a dispetto di quanto si possa pensare, sono peggiori della serata del saggio. Luci al neon sono accese impietose su tutta la sala e chi monta sul palco vede benissimo chi gli siede davanti, cioè almeno una ventina di persone che sono lì per cantare ed il cui livello tecnico è in genere più elevato di quello che troveranno la sera del saggio. Il bello di questa fase è che la tensione finisce per fare da legante fra le persone in sala, tutti sulla stessa barca. Non c’è alcuna competizione fra i cantanti e questo è esclusivo merito di Alessandro, il quale ha questa naturale predisposizione per cui farebbe sentire a suo agio anche un condannato a morte (sensazione, tra l’altro, che ricordo non lontana dalla mia prima esibizione anni fa). Nella sala c’è un’amalgama fatta di ogni sensazione, un calderone in cui lasciarsi andare per abbassare la tensione. Capita spesso che finisci per canticchiare le canzoni degli altri, magari una che ti piace tanto e che porta un altro, ma mai la tua. Che poi i cantanti si incontrano solo per i saggi, mica è gente che lavora insieme. Per cui le persone non hanno il loro nome e cognome come nel mondo civile là fuori, ma hanno il nome del cantante o della canzone degli anni precedenti “Oh, guarda chi c’è! Alanis Morisette di due anni fa! Che fa quest’anno?”. E dire che il corso è composto da persone di ogni età, è un miscuglio di situazioni umane assolutamente eterogeneo. È uno spaccato della società, preso in un momento irripetibile: tutti tesi a cantare se stessi, a fare mostra di sé su un palco, contemporaneamente, come mai ci accadrebbe di fare così coralmente se ci incontrassimo per strada. Magari neanche ci saluteremmo. Invece siamo lì, a remare nella stessa direzione.

E poi, la sera del saggio. Gente tesa e nervosa che cammina su e giù in attesa del suo momento. Gente col mal di gola, gente ipocondriaca che soffre di mali sconosciuti alla medicina occidentale. Agli angoli della sala, spaccio di Golia Active Plus. La sala è gremita dagli invitati (ognuno invita quanta gente vuole, non c’è modo per sapere se ci saranno 500 persone o 50). Su di un palco perfettamente “arredato”, nel giro di due giorni si sono esibite più di 30 persone e quest’anno fa sfoggio di sé una comitiva di 5 super-bambini che non hanno mai conosciuto la vergogna (e neanche la paura, benedetta infanzia). Cantano un pezzo ciascuno mentre a turno gli altri fanno i balletti ed il coro. Il loro innesto dà una svolta alla serata. Una di loro, quasi sicuramente una nana di 45 anni, è così disinibita nel cantare, fare i cori ed i balletti, così navigata e rotta alle tensioni del palcoscenico che qualcuno sospetta sia anche madre di almeno una delle altre bambine (portata sul palco perchè, come risaputo, una baby sitter nei week-end costa un occhio della testa). Standing ovations si alternano ad applausi morigerati. Per quelli del primo anno è “il saggio del coraggio”: alla peggio, devi solo trovare la forza di montare sul palco. Tutto il resto è ininfluente. Nei primi anni, chi faceva il corso era obbligato (da una clausola in piccolo che sembrava una macchia) a partecipare al saggio di fine anno. Con gli anni, Alessandro deve aver trovato la luce del buddismo, perché la gente è diventata libera di scegliere (e dire che si dice che invecchiando si diventa conservatori…). Tutto fila liscio ed alla fine del pezzo, ogni cantante scende magari sudato e stanco, ma con un sorriso rilassato sulle labbra. A conclusione di ognuna delle due sere, si esibisce il coro “D’Altro Canto”, tenuto ovviamente da Alessandro, il quale fa 4 pezzi conclusivi a chiosare l’impegno annuale non solo del corso…

E poi c’è il giorno dopo il saggio.

La paura di fare la “cazzata” magicamente si trasforma nel dispiacere di non averla fatta più “grossa”

Questo, in estrema sintesi e con piena proprietà di lessico, è davvero lo spirito della domenica dopo il saggio, una domenica del villaggio all’incontrario (non ce ne voglia Leopardi).
Invece che filmarci mentre cantiamo, forse dovremmo filmarci appena dopo aver finito e rivederci l’anno seguente un attimo prima di salire sul palco: riguardare il nostro viso, scandagliare il nostro sguardo, il sorriso incerto e ricordarci cosa volevamo dire (“Mannaggia” è dato alla SNAI per 1.02 a 1).
Forse ci aiuterebbe a fare la cazzata più grossa ed a creare un feed-back positivo negli anni.

Più Alessandro mi insegna a cantare e più mi convinco che ci siano rapporti che mutano, certo, negli anni ma che restano vincolati ad una regola stringente, quella di non rispettare la proprietà commutativa.
In questo caso, più che mai, cambiando l’ordine degli addendi il risultato cambia. Credo sia per questo che certi sguardi, non appena scesi dal palco, Alessandro li riceverà sempre… ”

Cosa aggiungere… si fa presto a dire saggio! 😉

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